Le emozioni della Mezza di Firenze: ce le racconta la biancoceleste Eleonora Schiaffini
Il momento è vicino e non vedevo l’ora che arrivasse. L’attesa è
quasi snervante ed attendiamo solo che qualcuno ci indichi dove
posizionarci. Finalmente ci sistemiamo, poi qualcuno si avvicina con
carta e penna: “Pronti…?” “Sì! Per me pici al ragù e spinaci”. La
tensione si è sciolta e finalmente si cena.
Il riscaldamento della nostra prima Mezza Maratona Fiorentina
inizia così, sabato sera, con un approccio gastronomico che ci
consentirà di prendere confidenza con l’ambiente e dare il meglio di se’
il giorno dopo. Quindi a letto presto e, per rimanere leggeri - ahimè -
niente dolce. Sveglia alle 7 per dare il giusto anticipo alla ricca
colazione ed alle 9 tutti davanti alla biblioteca nazionale in attesa
della partenza delle 9,30. Si prospetta una giornata caldissima, quindi
la strategia prevede di passare su qualsiasi superficie pur di trovare
uno spazietto d’ombra. Alla partenza gente da ogni dove. Volti e suoni
si mescolano in una piacevolissima confusione creando un’atmosfera
festosa e galvanizzante.
Io sono poco allenata, ma so che una volta ce l’ho fatta ed a
prescindere dal risultato non vedo l’ora di riprovare quell’emozione che
ti spinge a fare di tutto più pur di riprovarla. Quindi parto serena,
passo 5:30, le cuffie nelle orecchie e lo sguardo curioso.
I km scorrono lisci, soprattutto i primi in cui si apre davanti a noi, dietro ogni angolo, uno sorprendente scenario tra le caratteristiche vie della città, con le sue botteghe e gli eleganti negozi, poi gli edifici storici, come palazzo vecchio e Santa Maria del fiore, sgambettando da una parte all’altra dell’Arno attraverso il lieve pendio dei ponti. I passanti non perdono occasione per fare il tifo, come se capissero il tuo sforzo e i loro incitamenti sono corroboranti. Il mio obiettivo è principalmente arrivare al traguardo, possibilmente sulle mie gambe, quindi decido di godermi il percorso, che sarà un doppio giro da 10km500. Per cui, avvistato il primo ristoro, anziché tirar dritto come al solito, rallento il passo: tè e biscottini e si riparte più “british” e pimpanti di prima.
Nel frattempo il sole si alza in cielo e la paura è che il caldo mi abbatta.
E giù con un altro tè.
Ormai si avvicina la chiusura del primo giro, quello che segna la metà della competizione e, poco prima di giungere agli Uffizi, le moto dello staff sfrecciano tra di noi per far strada ai primi arrivati. “Cosa?!” Mi volto in dietro per capire e… sbam! Rimbalzo sul primo assoluto che, per assicurarsi la sua posizione, si era incuneato tra me e la moto che lo scortava. Il braccio freddo come la morte, la pelle color pece, un’aereodinamicità unica… “L’ho toccato!” Ora ho due certezze: i top runner sono esseri umani, proprio come me, ma io sono un essere umano molto lento. Dopo qualche secondo di stordimento, continuo la mia impresa e mi preparo a ripassare le geografia di Firenze con il secondo giro.
Riesco a mantenere una media costante, nonostante mi renda conto del calo fisico rispetto a qualche mese fa, ma l’umore è buono e la sfida avvincente.
Ad un tratto il suono solenne delle campane mi porta a cercare un riferimento temporale, cosa che avevo perso ormai da tempo (forse volontariamente) ed il garmin mi segnala che alle ore 11 sono al 16km600. Poco dopo il 17° km la fatica comincia a farsi sentire ed inizio a pagare lo scotto per non essermi allenata abbastanza. Ormai ho superato i 2/3 del percorso ed i compagni di viaggio si sono dispersi. I vari personaggi memorizzati non sono più a portata d’occhio e mi rendo conto che quel simpaticone di Asterix partito con me, dotato di elmo alato e smanicato di pelo, è rimasto indietro… probabilmente sciolto sotto il calore del suo abbigliamento non proprio tecnico. Altri, mano a mano, diventano nuove schiene da memorizzare per passare il tempo.
La fatica ora è l’unica compagna fissa e mi trovo di fronte ad una scelta: rallentare, sentendomi autorizzata da chi davanti a me lo sta già facendo o continuare, facendomi trascinare da chi, mano a mano, cerca più velocemente il traguardo. Il mio orgoglio non mi permette di ascoltare il corpo, ma solo il cuore, che batte forte per lo sforzo e mi prega di continuare SENZA MAI FERMARMI. Quindi mi faccio forza e cerco negli sguardi dei passanti “tifosi” quell’energia di cui ho bisogno, come se gli dovessi qualcosa, soprattutto a tutti quelli che, per colpa mia, stanno fermi in macchina aspettando che mi decida a finire ‘sta “missione”. Raggiungo il 18°km e cerco di temporeggiare ancora, rimandando la sosta.
Continuo, alzando un po’ il passo, ma con la tentazione di liberarmi dal dolore alle anche. Provo a distrarmi, canticchiando qualcosa, ma le gambe urlano più forti di Barry White nelle mie cuffie. Ancora no, un altro piccolo sforzo. I metri sembrano allungarsi e le gambe ormai vanno avanti per forza di inerzia finché non decido che è arrivato il momento per fermarsi. Ora sì, al passaggio dei 21km posso finalmente arrestare la corsa ed al suono di Iron man, dei black sabbath, guadagnare, vittoriosa, il traguardo.
Orgogliosa per avercela fatta, realizzo di aver superato me stessa, senza pensare a chi è stato più veloce di me ed apprendendo così la prima lezione di oggi: mai darsi per vinti.
La seconda lezione, molto più pratica, mi viene suggerita direttamente dal mio istinto di sopravvivenza: se ti segni alla mezza maratona devi allenarti.
I km scorrono lisci, soprattutto i primi in cui si apre davanti a noi, dietro ogni angolo, uno sorprendente scenario tra le caratteristiche vie della città, con le sue botteghe e gli eleganti negozi, poi gli edifici storici, come palazzo vecchio e Santa Maria del fiore, sgambettando da una parte all’altra dell’Arno attraverso il lieve pendio dei ponti. I passanti non perdono occasione per fare il tifo, come se capissero il tuo sforzo e i loro incitamenti sono corroboranti. Il mio obiettivo è principalmente arrivare al traguardo, possibilmente sulle mie gambe, quindi decido di godermi il percorso, che sarà un doppio giro da 10km500. Per cui, avvistato il primo ristoro, anziché tirar dritto come al solito, rallento il passo: tè e biscottini e si riparte più “british” e pimpanti di prima.
Nel frattempo il sole si alza in cielo e la paura è che il caldo mi abbatta.
E giù con un altro tè.
Ormai si avvicina la chiusura del primo giro, quello che segna la metà della competizione e, poco prima di giungere agli Uffizi, le moto dello staff sfrecciano tra di noi per far strada ai primi arrivati. “Cosa?!” Mi volto in dietro per capire e… sbam! Rimbalzo sul primo assoluto che, per assicurarsi la sua posizione, si era incuneato tra me e la moto che lo scortava. Il braccio freddo come la morte, la pelle color pece, un’aereodinamicità unica… “L’ho toccato!” Ora ho due certezze: i top runner sono esseri umani, proprio come me, ma io sono un essere umano molto lento. Dopo qualche secondo di stordimento, continuo la mia impresa e mi preparo a ripassare le geografia di Firenze con il secondo giro.
Riesco a mantenere una media costante, nonostante mi renda conto del calo fisico rispetto a qualche mese fa, ma l’umore è buono e la sfida avvincente.
Ad un tratto il suono solenne delle campane mi porta a cercare un riferimento temporale, cosa che avevo perso ormai da tempo (forse volontariamente) ed il garmin mi segnala che alle ore 11 sono al 16km600. Poco dopo il 17° km la fatica comincia a farsi sentire ed inizio a pagare lo scotto per non essermi allenata abbastanza. Ormai ho superato i 2/3 del percorso ed i compagni di viaggio si sono dispersi. I vari personaggi memorizzati non sono più a portata d’occhio e mi rendo conto che quel simpaticone di Asterix partito con me, dotato di elmo alato e smanicato di pelo, è rimasto indietro… probabilmente sciolto sotto il calore del suo abbigliamento non proprio tecnico. Altri, mano a mano, diventano nuove schiene da memorizzare per passare il tempo.
La fatica ora è l’unica compagna fissa e mi trovo di fronte ad una scelta: rallentare, sentendomi autorizzata da chi davanti a me lo sta già facendo o continuare, facendomi trascinare da chi, mano a mano, cerca più velocemente il traguardo. Il mio orgoglio non mi permette di ascoltare il corpo, ma solo il cuore, che batte forte per lo sforzo e mi prega di continuare SENZA MAI FERMARMI. Quindi mi faccio forza e cerco negli sguardi dei passanti “tifosi” quell’energia di cui ho bisogno, come se gli dovessi qualcosa, soprattutto a tutti quelli che, per colpa mia, stanno fermi in macchina aspettando che mi decida a finire ‘sta “missione”. Raggiungo il 18°km e cerco di temporeggiare ancora, rimandando la sosta.
Continuo, alzando un po’ il passo, ma con la tentazione di liberarmi dal dolore alle anche. Provo a distrarmi, canticchiando qualcosa, ma le gambe urlano più forti di Barry White nelle mie cuffie. Ancora no, un altro piccolo sforzo. I metri sembrano allungarsi e le gambe ormai vanno avanti per forza di inerzia finché non decido che è arrivato il momento per fermarsi. Ora sì, al passaggio dei 21km posso finalmente arrestare la corsa ed al suono di Iron man, dei black sabbath, guadagnare, vittoriosa, il traguardo.
Orgogliosa per avercela fatta, realizzo di aver superato me stessa, senza pensare a chi è stato più veloce di me ed apprendendo così la prima lezione di oggi: mai darsi per vinti.
La seconda lezione, molto più pratica, mi viene suggerita direttamente dal mio istinto di sopravvivenza: se ti segni alla mezza maratona devi allenarti.
Lazio Runners Team
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